Douglas Coupland corre pericolosamente sull'orlo del baratro incurante del pericolo. Con JPOD distrugge (quasi) ogni regola della narrativa classica e contemporanea, rischiando di creare un inutile cumulo di parole senza scopo.
E invece ci riesce. Riesce a tenere in piedi un romanzo con un filo narrativo comprensibile (anche se inverosimile). Riesce a delineare dei personaggi non banali (anche se inverosimili). Riesce a contenere il suo libro in pagine di carta (anche se ne spreca 41 per 100.000 decimali del pi greco). Riesce a incuriosire vecchi geek tracciando un ritratto del loro mondo e delle loro fobie e passioni.
JPOD è una lettura piacevole ma faticosa: si passa da pagine narrative a lettere e email su temi "fuori tema"; si passa dal Canada alla Cina e dalla droga alle patatine; si parla di videogiochi ma si descrive benissimo la vita quotidiana in ogni ufficio del mondo.
La vicenda è surreale e divertente e si svolge all'interno di un'industria di videogiochi (Canada > Vancouver > Electronic Arts anche se mai citata), seguendo la creazione di un videogioco che passa dallo skateboard per poi vedere l'ingresso di una tartaruga, per poi diventare un gioco fantasy, per poi...
I personaggi sono molti, quasi tutti jpodder con relative famiglie e amici. Ma il personaggio principale è forse l'autore stesso, Douglas Coupland, che interpreta se stesso nel libro e ne manipola le sorti e il gran finale.
Il tono generale del romanzo è ironico, cinico, intriso di neologismi e di scorrettezze politiche, religiose, sociali e legali: trafficanti di droga dall'animo buono, sfruttamento della manodopera cinese vista come unico modo per guadagnare denaro, omosessualità/asessualità/bisessualità ridicolizzate a turni alternati. Per non parlare della famiglia, dei rapporti tra genitori e figli.
Insomma... un gran bel casino!