sabato 27 luglio 2013

Recensione superficiale di JPOD, di Douglas Coupland

Douglas Coupland corre pericolosamente sull'orlo del baratro incurante del pericolo. Con JPOD distrugge (quasi) ogni regola della narrativa classica e contemporanea, rischiando di creare un inutile cumulo di parole senza scopo.

E invece ci riesce. Riesce a tenere in piedi un romanzo con un filo narrativo comprensibile (anche se inverosimile). Riesce a delineare dei personaggi non banali (anche se inverosimili). Riesce a contenere il suo libro in pagine di carta (anche se ne spreca 41 per 100.000 decimali del pi greco). Riesce a incuriosire vecchi geek tracciando un ritratto del loro mondo e delle loro fobie e passioni.

JPOD è una lettura piacevole ma faticosa: si passa da pagine narrative a lettere e email su temi "fuori tema"; si passa dal Canada alla Cina e dalla droga alle patatine; si parla di videogiochi ma si descrive benissimo la vita quotidiana in ogni ufficio del mondo.

La vicenda è surreale e divertente e si svolge all'interno di un'industria di videogiochi (Canada > Vancouver > Electronic Arts anche se mai citata), seguendo la creazione di un videogioco che passa dallo skateboard per poi vedere l'ingresso di una tartaruga, per poi diventare un gioco fantasy, per poi...

I personaggi sono molti, quasi tutti jpodder con relative famiglie e amici. Ma il personaggio principale è forse l'autore stesso, Douglas Coupland, che interpreta se stesso nel libro e ne manipola le sorti e il gran finale.

Il tono generale del romanzo è ironico, cinico, intriso di neologismi e di scorrettezze politiche, religiose, sociali e legali: trafficanti di droga dall'animo buono, sfruttamento della manodopera cinese vista come unico modo per guadagnare denaro, omosessualità/asessualità/bisessualità ridicolizzate a turni alternati. Per non parlare della famiglia, dei rapporti tra genitori e figli.

Insomma... un gran bel casino!

domenica 7 luglio 2013

La prima pagina di quotidiano più efficace? Quella de L'Osservatore Romano


L'Osservatore Romano ha probabilmente la prima pagina disegnata meglio: molto bianco, una sola immagine per la notizia più significativa, pulizia e riconoscibilità del lancio degli articoli, molto bianco-spazioso-arieggiato.

Probabilmente questa pulizia nel design è dovuta al numero limitato di notizie da pubblicare (ma si può rinunciare all'ennesima notizia di gossip in basso a destra), all'assenza di pubblicità (però quella del Ministero che li finanzia dovrebbero metterla per onestà, mentre sul sito c'è),  però è secondo me una buona lezione focus sulla notizia.

Ah, e si può scaricare gratuitamente la copia del giorno (qui quella del giorno di questo post).



sabato 6 luglio 2013

Perché andare in libreria? Io non ci vado più...

Oggi, dopo parecchio tempo, sono tornato ad affacciarmi in libreria: non perché avessi smesso di leggere, ma perché il libro elettronico e i negozi online hanno cambiato la mia vita di lettore.

Ma approfittando della splendida giornata estiva e del primo giorno di saldi che ha riportato per strada molta gente in una Milano estiva già semideserta, ho voluto farmi un giro in una libreria specializzata in libri usati.

Di fronte a intere pareti coperte di libri, salendo e scendendo dalle scale per guardare i titoli fino al decimo ripiano, mi sono reso conto che non avevo nessuna voglia di leggere quello che c'era in esposizione. Sì, un libro l'ho comprato, ma solo perché mi era stato consigliato da un amico - oddio, un amico forse è troppo.

E non è colpa del personale del negozio, che sono sicuro che se l'avessi interpellato mi avrebbe sciorinato decine di titoli interessanti, ma... perché avrei dovuto fidarmi? Un libro occupa 30 ore di vita, non una e mezza come un film o un disco, quindi la scelta va soppesata con attenzione. E oggi non è difficile entrare in contatto con persone con gusti affini o totalmente diversi da cui farsi ispirare, soprattutto al di fuori del negozio. Poi si va su un sito, si clicca e si compra l'(e)libro. Il contenuto è lo stesso. La qualità è la stessa. Volendo, anche l'oggetto è lo stesso.

Un'ora in libreria non aggiunge niente alla mia esperienza di lettore e di Cliente, neanche se all'interno c'è l'aria condizionata, un incontro con l'autore o un bar che serve cappuccini. Quello che conta, e sono parole abusate, è lo scambio di idee con le persone che possono indirizzarmi su un autore, su un titolo o tenermi lontano da trappole innescate dalle case editrici. Solo quando una libreria mi fornirà un punto di ritrovo fisso in cui coltivare un gruppo di lettura potrò pensare di entrarci di nuovo per acquistare.

Anche se poi penso che dovrei andarci fisicamente quando ci sono gli incontri e che spenderei più soldi. No, forse è meglio non promettere nulla. Il gruppo di lettura è ormai online o nei posti che già si frequentano quotidianamente (ufficio, bar, ecc.), che siano formati da amici o meno.

La librerie, intese come negozi in cui si vendono libri e tutto quello che è collegato ad essi, per quel che mi riguarda, non hanno ormai alcun senso di esistere.